Materie Plastiche

 

I materiali plastici sono ampiamente utilizzati nella vita di tutti i giorni e si riscontra la loro presenza in tessuti, nell’elettronica, nei prodotti di igiene e negli imballaggi. Le plastiche sintetiche sono costituite da composti organici artificiali o semi-artificiali. Le proprietà di resistenza meccanica, flessibilità e durabilità hanno reso le plastiche un materiale indispensabile per la società. Esse pongono tuttavia diverse problematiche dal punto di vista ambientale:

Il loro conferimento in discarica determina l’esaurimento delle stesse con conseguente aumento dei costi di smaltimento;

Il loro incenerimento produce sostanze tossiche e gas serra che contribuiscono all’inquinamento e al cambiamento climatico;

La plastica si accumula negli oceani, ed i prodotti da essi generati per frammentazione (microplastiche) sono state ritrovate in molti punti del pianeta dove hanno contaminato la rete alimentare;

Le plastiche impiegano anche centinaia di anni per biodegradarsi permanendo molto a lungo nell’ambiente.

 

Bioplastiche

 

La domanda crescente per le plastiche unitamente al lungo tempo necessario alla loro biodegradazione, sottolinea la necessità di ridurre l’utilizzo di plastiche ed il loro rimpiazzo con bioplastiche degradabili e prodotte tramite modalità sostenibili. Generalmente le bioplastiche possono essere prodotte a partire da biomasse come mais, zuccheri e patate.

Le bioplastiche presentano diversi vantaggi quali una minore impronta di carbonio, la possibilità di una maggior indipendenza da fonti fossili e maggiori efficienza energetica ed eco-compatibilità. Tuttavia, allo stato attuale, presentano costi di produzione più elevati, problemi di riciclaggio (è infatti necessaria la separazione dalle plastiche tradizionali per non comprometterne il processo) ed una bassa resistenza meccanica. Non da ultimo, l’utilizzo di risorse alimentari per la produzione di bioplastiche, pone un’importante questione etica che necessita di valutazioni appropriate.

Le bioplastiche, come parte di una bioeconomia circolare, possono essere progettate alternativamente per degradarsi totalmente a CO2 in alcuni mesi o anni, o per contribuire come tecnologia di CCS (Carbon Capture and Storage) attraverso la loro integrazione in infrastrutture non biodegradabili come tubazioni a base di plastiche per le acque municipali e la fognatura, materiali edili e superfici stradali.

Plastiche non biodegradabili come serbatoi di CO2

Bioplastiche non degradabili (come il bio PE) potrebbero avere un ruolo importante in futuro per lo sviluppo di infrastrutture sostenibili che fungono da serbatoi di CO2. Un eventuale riconoscimento legislativo potrebbe inoltre rendere tali infrastrutture idonee al rilascio di crediti di CO2.

Plastiche biodegradabili

Le bioplastiche degradabili possono essere usate per produrre oggetti che si degradano totalmente per minimizzare il loro impatto ambientale. Le tempistiche con cui le plastiche si degradano possono essere progettate in base all’utilizzo dell’oggetto. E’ inoltre fondamentale che le plastiche possano degradarsi totalmente a CO2 e acqua in compostori industriali, sul terreno e in acqua senza rilasciare sottoprodotti tossici

Processo di produzione di bioplastiche da biomasse

La fotosintesi effettuata da piante, cianobatteri e microalghe determina la riduzione della CO2 grazie all’energia solare e la formazione di un complesso di biomolecole che costituiscono la biomassa. Un metodo semplice per integrare questa biomassa nell’industria petrolchimica per la produzione di plastiche è quello di convertirla a metano tramite fermentazione. Il metano può essere utilizzato per produrre poliidrossialcanoati (PHA), acido lattico, etanolo (precursore del bio polietilene e del bio polivinilcloruro). Questo approccio ha il vantaggio di minimizzare i costi iniziali e operativi in quanto i processi coinvolti sono relativamente semplici e poco costosi. Lo svantaggio è che tutta l’energia solare e chimica per generare le biomolecole è persa nella loro riconversione a metano da cui le molecole precursore delle bioplastiche devono essere sintetizzate nuovamente. Nonostante il procedimento sia quindi poco efficiente in questo senso, esso rappresenta un metodo semplice per ottenere bioplastiche.

 

Bioplastiche tramite raffinazione

 

Una possibile strategia alternativa e maggiormente mirata è quella di scomporre la biomassa nelle sue componenti biomolecolari tramite un approccio di bioraffinazione. Sono in via di sviluppo processi basati sulla rottura meccanica delle cellule e sulla liquefazione idrotermale per permettere il rilascio di proteine, lipidi, carboidrati, acidi nucleici e cellulosa. Questi materiali possono essere poi utilizzati per produrre le diverse classi di bioplastiche. Il successo di questo approccio è condizionato dal raggiungimento di un buon rapporto costi-benefici, nonostante l’alto costo iniziale richiesto per frazionare la biomassa nelle sue componenti. I cianobatteri possono essere usati come risorsa per la coproduzione di polidrossialcanoati (PHA), pigmenti, metano e fertilizzanti. E’ inoltre possibile la valorizzazione di scarti di cibo tramite idrolisi fungina e microalgale con conseguente produzione di componenti plasticizzanti ed acido lattico. La produzione di molteplici bioplastiche a partire dalla stessa biomassa è fondamentale e contribuisce a livellare l’alto costo richiesto per il frazionamento e la purificazione.

 

Ingegneria generica per la produzione di bioplastiche

 

Cianobatteri geneticamente modificati possono già utilizzare la luce solare per potenziare la produzione di poliidrossialcanoati e si ritiene che con l’avanzare della tecnologia CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Palyndromic Repeats) sarà possibile ottimizzare l’efficienza di cattura della luce. Inoltre, l’ingegnerizzazione di specifici pathway biochimici permetterà la produzione di nuove molecole precursore che potranno conferire un ampio range di proprietà fisiche e chimiche alle future generazioni di bioplastiche.

 

Modalità di biodegradazione delle bioplastiche biodegradabili

 

L’introduzione nel mercato di biopolimeri biodegradabili non può prescindere da accurate analisi di biodegradabilità in condizioni ambientali diverse, volte ad evitare l’ulteriore inquinamento da materiali plastici. La biodegradazione dei polimeri biodegradabili segue tre diversi step: biodeterioramento, bioframmentazione ed assimilazione e può avvenire grazie a batteri, alghe e funghi. La loro degradazione dipende dalle condizioni ambientali quali temperatura, acqua, ossigeno e dalle condizioni chimiche del polimero stesso. I meccanismi base di biodegradazione sono l’ossidazione o l’idrolisi da parte di enzimi che migliorano l’idrofilicità del materiale plastico, da cui si ottiene un polimero a più basso peso molecolare adatto all’assimilazione da parte dei microrganismi.

Dopo la degradazione, la frammentazione causa la rottura delle catene polimeriche di plastica che rendono possibile la loro assimilazione.

Polimeri diversi possiedono proprietà di biodegradazione differenti. Le bioplastiche in polilattato (PL), ad esempio, mostrano una degradazione alquanto lenta (fino ad un anno) mentre quelle in acetato di cellulosa impiegano solo qualche mese. Inoltre, la biodegradazione di questi materiali varia a seconda del comparto ambientale: spesso presentano alta degradabilità nel comparto suolo e nei sistemi di compostaggio, ma bassa nel caso di comparti acquatici. La natura acida dell’ambiente può anch’essa influenzare la biodegradazione in quanto il pH modifica il tasso di idrolisi e di crescita dei microrganismi. Un ulteriore fattore che influenza il tasso di biodegradazione è la flessibilità delle catene del polimero: più è alta, maggiore sarà la biodegradazione in quanto le reazioni di idrolisi procederanno a maggior velocità. Condizioni anaerobiche sono invece idonee per la degradazione del polilattato e dei poliidrossialcanoati. L’energia liberata dal processo di mineralizzazione è utilizzata dai microrganismi. In questo caso essi utilizzano un accettore di elettroni alternativo all’ossigeno, come lo ione solfato o lo ione nitrato. Generalmente i tassi di degradazione in condizioni di anaerobiosi sono più lenti rispetto a quelli aerobici a causa della mancanza di ossigeno. Tuttavia, i tassi di degradazione per il polilattato e del poliidrossibutirrato (PHB) risultano più elevati in condizioni anaerobiche.

Conclusioni

 

I materiali plastici costituiscono una caratteristica peculiare delle società moderne grazie alle loro proprietà meccaniche ed al loro utilizzo in molteplici settori dell’economia. Tuttavia questi vantaggi sono ampiamente controbilanciati dagli effetti negativi prodotti a carico dell’ambiente. In quest’ottica si inserisce la necessità di rimpiazzare questi materiali con bioplastiche in grado, a seconda dell’obiettivo, di biodegradarsi con facilità o di fungere da serbatoio di CO2 nelle infrastrutture. Esistono diverse modalità che permettono di sintetizzare molecole precursore da cui ottenere le bioplastiche spaziando dalla semplice fermentazione della biomassa fino all’utilizzo di batteri ingegnerizzati. Per quanto riguarda invece la capacità di biodegradazione, proprietà essenziale per evitare ulteriore inquinamento, le bioplastiche presentano diversi tassi di biodegradazione condizionati da fattori ambientali e dalle proprietà chimico-fisiche del polimero. Per uno sviluppo industriale totalmente sostenibile, in ogni caso, sarà necessario che le bioplastiche progettate per biodegradarsi, si degradino totalmente a CO2 e acqua senza il rilascio di residui chimici pericolosi.

Alla luce di quanto riportato, risulta comunque necessario accoppiare alle innovazioni tecnologiche in questo campo, un apparato legislativo che permetta la transizione verso una bioeconomia circolare rinnovabile basata sull’utilizzo di bioplastiche.

 

Bibliografia

 

H. Karan, C. Funk, M. Grabert, M. Oey, B. Hankamer: Green Bioplastics as Part of a Circular Bioeconomy. Trends in Plant Science

S. Thakur, J. Chaudhary, B. Sharma, 2018. Sustainability of bioplastics: Opportunities and challenges. Current Opinion in Green and Sustainable Chemistry, 13:68–75

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